Motomondiale 2016, fra show (anche finti) e rischi (veri)

Motomondiale 2016, fra show e rischi. Cosa accadeva prima e cosa accade oggi. Perchè si guarda il Motomondiale?

Motomondiale 2016, fra show (anche finti) e rischi (veri)
Massimo Falcioni
Pubblicato il 16 mar 2016

Da sempre, pur in modo diverso, un Motomondiale che inizia fa battere il cuore degli appassionati e richiama interesse anche da parte di chi segue le corse di sfuggita. Al di là dei tanti aspetti tecnici e agonistici che si svilupperanno sin dal prossimo week end con il primo round iridato a Losail ci poniamo alcuni interrogativi – diciamo così – che sono fra quelli posti anche dai lettori di Motoblog nei loro commenti e non solo. Al forte tam tam mediatico, specie in tv e sui social network, corrisponde un adeguato riscontro di interesse per le corse, il cosiddetto audience? Cos’è che “tira”, qual è il volano di traino per agganciare il grande pubblico al mondo delle corse? Il motociclismo di oggi è migliore o peggiore di quello del passato?
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Sembrano domande banali dalle risposte semplici. Ma è proprio così? Cominciamo, molto schematicamente, dal rapporto fra presente e passato. Chi scrive queste note segue il motomondiale dal … 1957 e, pur stretto nella morsa della nostalgia per il motociclismo de “I giorni del coraggio”, non può idealizzare quei tempi, perché la medaglia ha sempre due facce. Di positivo c’era la partecipazione delle grandi Case italiane (ma anche inglesi e tedesche ecc.) in tutte le cilindrate che affidavano i loro bolidi a campioni italiani e stranieri, puntando solo sulle loro qualità di corridori: non esistevano i piloti con la valigia, tutti partivano dal basso sostanzialmente alle medesime condizioni; a emergere erano davvero i fuoriclasse e chi riusciva a evitare la dea bendata, all’epoca sempre pericolosamente in agguato.
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Si tifava per il pilota del cuore ma c’era prevalentemente il legame con la Casa (la Marca) inteso come simbolo identitario, una bandiera cui si rimaneva legati nel tempo, al di là del pilota di turno. Il dato dominante era però la passione per le corse in quanto tali, con i piloti ritenuti (tutti) degli… extraterrestri, veri e propri eroi del rischio, gladiatori in pista ma con i quali era possibile un rapporto e un dialogo diretto, nei paddok “aperti”, toccandoli quasi con mano in pista, data la vicinanza fisica degli spettatori con i propri beniamini in corsa. Le moto erano molto meno potenti (l’ultima MV Agusta 500 4 cilindri 4 tempi di Agostini o Read o l’ultima Honda 500 4 di Hailwood o la Benelli 500 4 di Saarinen non superavano i 100 cavalli di potenza e non raggiungevano i 300 Kmh) ma avevano un fascino particolare grazie anche ai regolamenti “aperti” che consentivano sfoggio di tecnologie ardite con moto diverse fra loro (monocilindriche e pluricilindriche a 2,3,4,5,6,8 cilindri, a 2 e 4 tempi, aspirate o a disco rotante ecc.) e sound che le rendevano uniche e riconoscibili senza neppure guardarle.
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C’era poi il fascino della pista (sia gli autodromi sia i circuiti cittadini) e quello della trasferta, in moto, in auto, in pullman, in .. camion, treno, vere e proprie … imprese avventurose che venivano poi raccontate nei bar o nei moto club con l’orgoglio dell’”io c’ero!”. Tutto bene, allora? No! La corsa era dominata dal rischio, con gli immancabili incidenti di gara, con piloti feriti e anche deceduti. Quante volte calava sul circuito l’ombra tetra della tragedia? C’era lotta ma non sempre serrata ai vertici, data la superiorità di questo o quello in sella a moto molto più competitive di chi stava dietro. Il pubblico era più “tecnico”, capace di esaltarsi per il giro record fatto da Hailwood o da Agostini, pur in una corsa “solitaria”. Insomma, sapeva riconoscere la stoffa di un potenziale campione anche nel corridore di centro gruppo, esaltandosi. Poi si lavorava di … fantasia perché all’estero non si andava, la tv non trasmetteva gare in diretta, e il vincitore lo si conosceva il più delle volte il lunedì, leggendo la Gazzetta.
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Il letargo invernale aveva un suo fascino, specie per chi abitava nei pressi di Case e Team, dove filtravano notizie sugli sviluppi delle nuove moto in allestimento. Zone dove – davanti ai cancelli della fabbrica – si trascorrevano ore di attesa, nel freddo o sotto la pioggia, per aspettare l’uscita del meccanico amico (o, se fortunati, del pilota) per carpire qualche segreto. Per decenni, l’obiettivo principale di chi compiva i fatidici 14 anni, era l’acquisto del “48” , primo passo per l’ingresso nella famiglia dei motociclisti e per molti per avvicinarsi al mondo delle corse. Questo fatto, insieme alla rivoluzione della comunicazione e delle sue tecnologie, è la prima vera differenza fra ieri e oggi: il motorino non è più la priorità del ragazzino, sostituito da quella del telefonino e degli altri marchingegni elettronici.

Ciò comporta, a cascata, una rivoluzione nel mercato delle moto e anche nelle corse entrate – così come altri grandi sport di massa – nella logica dello sport-spettacolo, quindi nella tenaglia del business. Le corse sono diventate “globali”, mediaticamente appetibili, quindi proficue economicamente. Per questo non basta più il “ristretto” pubblico dei super appassionati sui circuiti ma serve un grande pubblico “generico” che viene “accalappiato” con gli strumenti del marketing vendendo le corse come si vende un dentifricio, un pubblico nuovo che segue quasi ovunque nel mondo le corse davanti alla tv o su internet. Tot pubblico, tot contatti, nel rapporto mutevole pubblicità-immagine-comunicazione-sponsor con soldi che girano e che creano la torta senza la quale le grandi corse sarebbero finite.

Per questo serve lo show, in pista e fuori, serve il campione-star-carismatico e servono corse-show, con sportellate e anche … scivolate, condite di forti polemiche. Da qui tutto il lavoro per costruire il campione-immagine; per realizzare circuiti meno rischiosi possibili (ve l’immaginate il costo di un incidente che tiene “out” uno dei big della MotoGP?) e con medie basse perché più facilmente teletrasmessi; per far passare regolamenti restrittivi che appiattiscono tecnica e tecnologie “livellando” i competitors in modo che davanti alla tv non ci si annoia. Chi sa, a casa, su quale moto corre il tale campione della Moto3? Chi sa qual è la differenza in MotoGP fra i motori Yamaha, Honda, Ducati, Aprilia, Suzuki? A chi interessa? La gente chiede show e Dorna show offre. Quanto meno ci prova. Ciò comporta a volte polemiche strumentali, corse … da reality-show e altre volte (come nel 2016?) corse ad alto rischio per l’alto livello di competitività che – come per la Moto3 – vede almeno 15 piloti in lotta per il podio, dal primo all’ultimo giro. Insomma, c’è uno scenario completamente diverso dal passato e tutt’ora in forte evoluzione. Il dato centrale resta quello di ricostruire un “ethos” delle corse, una nuova vera passione basata non solo sullo show di … cartapesta.

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